Il mestiere di medico resta ancora oggi un mito?

Secondo recenti statistiche in Italia ci sono 330 mila medici, cioè un medico ogni 175 abitanti, record Europeo.

La maggioranza ha guadagni che permettono una vita dignitosa, ma niente di più. Senza parlare dei lunghi anni di gavetta per fare esperienza e di attesa di un posto di lavoro.

Ma come mai i ragazzi che vogliono diventare medici sono sempre così numerosi al test di ingresso nella facoltà di medicina?

Io penso che la gran parte dei ragazzi con il sogno di fare il medico siano spinti a questa scelta soprattutto da motivazioni ideali e culturali. Non esiste un’altra professione che sia così intrinsecamente umana come fare il medico.

Quando entra nella facoltà di Medicina il ragazzo crede fermamente nel bene che potrà fare. Poi, nel corso della professione, potranno venire le disillusioni, le rabbie, le amarezze di non essere sempre stati capiti ed apprezzati o anche, capita ad ogni medico, la tristezza di non aver capito una malattia, di avere in buona fede anche sbagliato.

Ma all’inizio dello studio c’è ancora tanto entusiasmo. I professori docenti dovranno cercare, nel seguire i loro allievi, di far crescere in loro in questo entusiasmo, non insegnando solo le materie di studio, ma insegnando anche a saper sempre ascoltare il paziente, a rispettare l’etica medica e ad agire sempre secondo”scienza e coscienza”. Questo entusiasmo dovrà nel corso degli anni di Università accompagnarsi alla sete di conoscenza, di esplorazione, di sapere che è in tutti i giovani e che, a patto di volerlo fermamente, potrà restare accesa per tutta la vita.

"A me è successo e ne sono felice."

L’enorme aumento delle conoscenze,avvenuto soprattutto in questi ultimi vent’anni,obbliga ancor più il medico a un sempre continuo e profondo aggiornamento,senza però mai perdere di vista lo stretto e esclusivo collegamento tra un fatto morboso e la singola persona che ne è affetta.

E’ più che indispensabile che anche a livello universitario si avverta il problema di introdurre nuovi aspetti di insegnamento, volti a creare medici preparati alle nuove esigenze.

Serve una nuova didattica per formare i nuovi medici. I progressi della tecnica, con il conseguente riduzionismo specialistico, hanno fatto perdere alla figura del medico quella di essere a misura d’uomo.
I costi dei servizi sanitari, la rapida trasformazione dei pazienti, da ubbidienti e fiduciosi in spesso eccessivamente pretenziosi, quella “medicina dei desideri” propalata dai media in modo spesso roboante o scandalistico, l’evidente distacco tra gli indubbi progressi della scienza medica e le sempre maggiori e spesso egoistiche e irreali aspettative dei pazienti, l’affievolirsi del rapporto di fiducia tra paziente e singolo medico, sono situazioni attuali e sotto gli occhi di tutti.

Le incomprensioni tra medicina e società aumentano ogni giorno. Il problema non sta tanto nell’individuare nuove tecniche didattiche, ma nell’organizzare le conoscenze e la personalità del futuro medico, in modo da renderlo in grado di essere sempre capace di adattarsi ai mutamenti, oggi rapidi, determinati dall’evoluzione delle scienza e della tecnica e dai cambiamenti sociali e del costume. Serve un sapere multidisciplinare e interprofessionale, che permetta di considerare “il caso clinico” una persona bisognosa di aiuto.

Oggi la formazione del medico è essenzialmente basata sul nozionismo biologico. Serve invece, nella formazione del medico, un paradigma unificante, che riesca ad armonizzare, le diverse tradizioni: clinica, sperimentale, epidemiologica e sociale.

Per la verità, a mio parere, le nuove esigenze sono, per tanti aspetti, una rivalutazione di criteri classici, che il velocissimo progresso scientifico ha messo, erroneamente, e spero solo temporaneamente, in seconda linea. E’ indispensabile la possibilità di poter inquadrare, in un peculiare e poliedrico aspetto anamnestico, fisiologico e patologico il paziente, in modo di poterlo vedere nella sua unicità.
Viene così permesso quello che è poi il fine fondamentale dell’atto medico: la possibilità di giungere a una diagnosi la più accurata possibile, ricordando ancora una volta che la diagnosi di una stessa forma morbosa e la conseguente terapia andranno sempre viste a livello individuale.

L’atto terapeutico conseguente sarà pertanto più mirato ed efficace.

Con questi presupposti debbo dire che i risultati da me ottenuti, basati sia sui sintomi soggettivi che sugli indispensabili riscontri oggettivi, sono stati finora molto incoraggianti, anche da un punto di vista statistico. Per esempio i miei studi in campo Gastroenterologico mi hanno permesso, tra l’altro, nel corso di molti anni, di riuscire ad approfondire ed ottenere importanti risultati, nel più che mai attuale aspetto del “Calendario Biologico”, anche livello di questo importante apparato.

Ho potuto approfondire come esso si evolva con l’invecchiamento, come le modifiche anatomo-funzionali, considerate per certi aspetti parafisiologiche, lo coinvolgano in vari aspetti.

Ho potuto anche rendermi conto che le tante novità, che la geriatria scopre a carico di altri organi o sistemi, riguardano anche il tubo digerente.

Tra le altre cose, vale anche qui la regola che è importante non solo l’età di una persona, ma molto anche lo stile di vita che essa ha condotto. Vale anche a questo livello il concetto di aver saputo spendere più o meno bene, nel corso degli anni, il proprio patrimonio biologico.

E non saranno, a questo punto, decisivi solo gli alimenti, vari nella quantità e ancor più nella qualità, più o meno adatti anche in rapporto alle frequenti patologie presenti, ma anche i fatti psico-emozionali, che, importanti ad ogni età, possono diventare determinanti nel fragile organismo della persona anziana.

Dovremo aver presente, nel formare i futuri medici, la figura di quello che per molti è stato giudicato il più grande clinico medico italiano del secolo scorso, il bresciano prof Cesare Frugoni

Frugoni un medico all'antica